Teorie quantistiche: definizione, caratteristiche ed evoluzione

Parlare di teorie quantistiche ci porta subito nel mondo della fisica, una delle materie più interessanti che i giovani studenti dei corsi di laurea in Ingegneria trovano nel loro piano formativo.

Definire la meccanica quantistica in parole semplici non è così immediato: la funzione di questa guida è proprio quella di spiegarti, passo dopo passo, che cosa intendiamo per fisica quantistica e quali sono gli elementi oggetto di studio di questa teoria.

La cosiddetta teoria dei quanti è una teoria che i suoi stessi creatori non capivano a fondo, ma che si è rivelata in grado di spiegare il comportamento della materia nel mondo microscopico.

Pronto a scoprire di più? Continua nella lettura.

Quello che devi sapere sulla teoria dei quanti

Che cos’è la costante di Planck? Come nasce la fisica quantistica? A questi (e molti altri) quesiti risponderemo nei prossimi paragrafi della nostra guida.

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teoria dei quanti

Fisica quantistica: cos’è

Apriamo la nostra guida con un approfondimento sulla fisica quantistica, spiegata in modo semplice. Di cosa stiamo parlando, dunque, quando menzioniamo l’universo delle teorie quantistiche?

Per fisica quantistica (detta anche teoria dei quanti) intendiamo quella teoria fisica che descrive il comportamento della materia, della radiazione e le reciproche interazioni, viste sia come fenomeni ondulatori sia come fenomeni particellari (dualismo onda-particella).

Proprio su questo dualismo onda-particella le teorie quantistiche portano un punto d’innovazione rispetto alla fisica classica e le relative teorie sviluppate fino al XIX secolo nella descrizione degli atomi e delle molecole.

La relazione fra natura ondulatoria e corpuscolare delle particelle e della radiazione è enunciata nel principio di complementarità e formalizzata nel principio di indeterminazione di Heisenberg, ma di questo parleremo nei prossimi paragrafi.

La meccanica quantistica è la base di molte altre branche della fisica moderna come la fisica atomica, la fisica della materia condensata, la fisica nucleare e subnucleare e la fisica delle particelle.

La costante di Planck

Uno dei concetti di base della fisica quantistica è proprio la quantizzazione. Perché, quindi, parliamo di teoria dei quanti?

Nel mondo microscopico, le quantità fisiche come l’energia non possono essere scambiate in modo “continuo”,  ma attraverso “pacchetti” detti “quanti”.

Questo è ciò che emerge dagli studi del fisico tedesco Max Planck, noto proprio per aver elaborato quella che conosciamo come costante di Planck. Per lo studioso tedesco, una particella carica oscillante alla frequenza ʋ è in grado di scambiare energia con l’ambiente solo in forma di pacchetti di grandezza:

E = hʋ

La costante h, detta oggi costante di Planck, vale 6,626 × 10–34 J · s. Se l’atomo in oscillazione cede all’ambiente una quantità di energia E, si rivelerà una radiazione di frequenza ʋ = E/h.

Questa teoria è stata confutata dall’effetto fotoelettrico, illustrato da Albert Einstein, di cui parleremo nei prossimi paragrafi.

I principi della meccanica quantistica: il dualismo onda-particella

Abbiamo detto che il tratto innovativo delle teorie quantistiche è proprio quello che riguarda il cosiddetto dualismo onda-particella, che rivede le concezioni della fisica classica di stampo newtoniano.

Infatti, la fisica classica fino al XIX secolo era divisa in due corpi di leggi: quelle di Newton, che descrivono i moti e la dinamica dei corpi meccanici, e quelle di Maxwell, che descrivono l’andamento e i vincoli a cui sono soggetti i campi elettromagnetici come la luce e le onde radio. A lungo si era dibattuto sulla natura della luce e alcune evidenze sperimentali, come l’esperimento di Young.

Per dimostrare che la luce si propagava per onde, Young intraprese un esperimento: un fascio di raggi luminosi colpiva uno schermo in cui erano presenti due fori, o fenditure, molto piccoli, che diventavano due sorgenti omogenee. A questo punto mise uno schermo che raccoglieva la luce proveniente dai due fori e vide nettamente delle frange chiare e scure, molto simili alle onde del mare provenienti da due sorgenti diverse. Questo fenomeno non si può spiegare con la teoria corpuscolare, ma con la teoria ondulatoria.

Si tratta di un esperimento molto importante, che verrà ripreso anche da Richard Feynman.

A partire da questi risultati, Bohr capì che la natura della materia e della radiazione non doveva essere ripensata solo in termini esclusivi o di un’onda o di una particella, ma sia l’elettrone che il fotone sono al tempo stesso sia un corpuscolo sia un’onda.

Il pensiero espresso da Bohr prende il nome di principio di complementarità, che indica che descrizione completa dei fenomeni che avvengono a scale atomiche richiede proprietà che appartengono sia alle onde che alle particelle.

L’effetto fotoelettrico di Einstein

Parlando di teorie quantistiche, non possiamo non menzionare l’effetto fotoelettrico teorizzato da Albert Einstein.

Per effetto fotoelettrico intendiamo quel fenomeno che si manifesta con l’emissione di particelle elettricamente cariche da parte di un corpo esposto a onde luminose o a radiazioni elettromagnetiche di varia frequenza: gli elettroni vengono emessi dalla superficie di un conduttore metallico (o da un gas) in seguito all’assorbimento dell’energia trasportata dalla luce incidente sulla superficie stessa.

In parole povere, questo effetto ci dice che colpendo un metallo con un giusto tipo di luce, possiamo produrre elettricità. L’effetto fotoelettrico è stato formulato nel 1905 da Einstein ed è oggi alla base del funzionamento dei pannelli fotovoltaici.

Ma cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta, riassumendo il tutto in questi punti:

  • Siamo nel 1905: seguendo il principio elaborato da Planck, Albert Einstein propose che la radiazione elettromagnetica fosse costituita da particelle, che più tardi furono chiamate fotoni. Ciascun fotone si può considerare come un pacchetto di energia; quest’ultima dipende dalla frequenza della radiazione e corrisponde a E = hʋ;
  • È bene sottolineare che l’intensità della radiazione indica il numero di fotoni presenti, e che l’espressione E = hʋ misura l’energia di ciascun singolo fotone.

Per spiegare l’effetto fotoelettrico dobbiamo pensare alla radiazione elettromagnetica come a un insieme di fotoni. Se l’energia del fotone non raggiunge quella necessaria ad allontanare un elettrone dal metallo, l’elettrone non sarà espulso, quale che sia l’intensità della radiazione. Se, invece, l’energia del fotone, hʋ, è maggiore, allora sarà espulso un elettrone, indipendentemente dall’intensità della radiazione.

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